La penna degli Altri 15/01/2010 10:01

Totti come il Cid. Parola di Brutus

cosparso di cenere: me piget, me pudet, me paenitet… Sì, in effetti, per lungo tempo, ho vegetato nell’errore, mi sono incarognito a considerare soltanto unosplendido calciatore, dotato di piedi prodigiosi e… e… basta.

Sì, forse suggestionato dal sovrano parere di Nils Liedholm che, una volta, riferendosi ad altro campione giallorosso (di cui non farò il nome), ebbe a sentenziare: ”Lui, tutto piedi, ma niente cervello”, ho pervicacemente inclinato per troppo tempo a trascurare, peggio, a ignorare le doti intellettuali, spirituali, umane del bravissimo condottiero romanista. Al massimo, con imperdonabile ottusità, mi limitavo a dire di lui: ”Sì, un bravo figliuolo, tenero coi bambini, compie atti benefici, ma, forse, a scopo pubblicitario”.

 

Naufragavo insomma nell’errore. Ora, con buon diritto, ci si domanderà che cosa mi abbia da ultimo indotto a ricredermi. Rispondo: non una ‘cosa’, ma due persone mi hanno aiutato a vedere, a riconoscere il vero e le sue virtù. Grande peso in questa mia conversione ha avuto un’amichevole, stimolante conversazione avuta, tempo addietro, in occasione del suo settantesimo anno, con Maurizio Costanzo, tanto nomini, mentre non è da trascurare l’adorazione che Brutus invariabilmente manifesta nei confronti del , quando appare in tivù.

 

Il parere di Costanzo, com’è ovvio, fa premio su quello di Brutus (vi spiegherò poi il perché). Con Maurizio, in quel nostro lieto retrouvailles, fui sincero quanto empio: ”Senza eguali come giocatore, altrove ritengo non possa nutrire soverchie ambizioni”. Col garbo perfidamente bonario suo proprio, il pontefice televisivo, che di è amico e, ritengo, padre spirituale, mi liquidò sollecitamente:”Vedi, pallone a parte, quel ragazzo lì ha lo stesso talento romanesco di Alberto Sordi, ma non lo sa”. Finì così, con una battuta: passammo ad altro.

 

In seguito, ho ripensato spesso a quelle parole e ho incominciato a dubitare delle mie perverse opinioni. E qui interviene Brutus. Brutus, si sappia, è un gatto stradarolo romano, dallo splendido mantello bianco e nero, tanto che i ragazzini che da cuccioletto provvedevano a brutalizzarlo l’avevano chiamato Alex, con ovvio riferimento a Del Piero.

Dopo averlo sottratto alle loro crudeltà, fu mia sollecita cura ribattezzarlo Brutus, un nome che contiene Roma e anche un po’ di Shakespeare. Da quasi tre anni, Brutus regna dispoticamente sul giardino di casa e su quelli limitrofi. E’ un gatto gatto, nel senso che gode di assoluta autonomia e libertà: fa strage di topi e, ahimé, anche di uccelli, bisce, gechi e lucertole; si fa vivo in casa solo per mangiare, dormire e per ripararsi dalla pioggia.

Insomma, quando gli garba. Brutus, e qui veniamo al punto, detesta la televisione: cerca sempre rifugio lontano dal gracchiare del video. C’è solo un personaggio che l’induce a soffermarsi, interessatissimo, quasi incantato, dinanzi al teleschermo. Questo personaggio è , nelle sue esibizioni pubblicitarie per i telefonini et similia. Brutus, com’è ovvio, non parla il linguaggio degli umani, ma sa esprimere compiutamente i suoi sentimenti. E, vi garantisco io che lo conosco, nutre per Francesco un’ ammirazione sconfinata. Insomma, è il suo idolo. Il suo idolo, mi spiego, non come calciatore, ma come attore. In definitiva, come uomo. Qualcuno, forse, ora penserà che io stia celiando. Ma si sbaglia di grosso. Mai stato più serio: i gatti sono esseri magici, di straordinaria intelligenza, appartengono unicamente a se stessi e il loro giudizio sugli umani è infallibile. Ponendo a confronto, com’era inevitabile, il parere di Maurizio Costanzo con la passione manifestata da Brutus, ho ravvisato tra le due posizioni un’assoluta coincidenza. E di lì è partito il processo di revisione che nel corso di alcuni mesi mi ha indotto a totalmente ricredermi sul conto di , uomo che oggi reputo di multiforme ingegno. Per cui, m’induco ora a consigliargli, una volta appesi gli scarpini, d’intraprendere la carriera di attore.

Scomparsi i Sordi, i Fabrizi, i Manfredi, in effetti, chi ci rimane? Ma , perbacco! Costanzo (e Brutus) dixit. Qui si conclude il mio atto di contrizione. Che per altro, trasmigrando dai settori extracalcistici al più specifico campo pallonaro, mi suggerisce di esternare alcune personali opinioni intorno all’uso che oggi la Roma fa (o non fa) della eccezionale personalità del suo .

E vengo al dunque. Pare (anzi, è certo) che contro il non giocherà. Si riserva, dicono, per la successiva partita con la . Mi auguro che sia soltanto un sovrappiù di cautela quello che induce Ranieri a privarsi del suo conducator contro i rossoblu (ma la ferrariana è poi tanto più forte del ?). E se così è, e Ranieri sbagliano in solido. Voglio dire che, a mio modesto avviso, continua, con tutti i suoi acciacchi, a valere mezza Roma. Ma forse la vale tutta!

 

Amici miei e non della ventura, inutile e pernicioso risulta l’illudersi coi successi nelle battagliette di retroguardia: i grandi cimenti si vincono e i grandi traguardi si conseguono solo quando è in campo. Perché è lui il campione che viene da un altro pianeta, l’unico capace da solo di fare la differenza. Ora, se anche Mister Ranieri si è convertito (Cuius rex eius religio) al ‘tirare a campare’ di marca ginecocraticopacelliana, be’ allora tenga pure il in tribuna; ma se invece nutre ragionevolmente maggiori e più alte ambizioni, ebbene, allora, Francesco ‘deve’ mandarlo in campo ora e sempre. Quando è in forma e quando non lo è, con due gambe e con una sola, perché è , ed è inconcepibile pensare, oggi, una Roma che metta paura agli avversari priva del suo .

A me Francesco ricorda quel grande e discusso condottiero ispanico che si chiamava Rodrigo Diaz de Bivar, ma era universalmente noto, presso gli spagnoli e anche tra gli arabi, come El Cid Campeador. Divenuto, dopo una vita sfrenata di battaglie e di vittorie, signore di Valencia ed eroe eponimo della Reconquista, insomma un mito, un’icona si direbbe al presente, si trovò a combattere contro l’ultimo disperato tentativo dei Mori. E lì, ci rimise la ghirba, trafitto da una pazza freccia musulmana. Morì in nottata nella fortezza valenciana, ma sapete cosa fecero i suoi commilitoni? Lo issarono, da morto, sul suo destriero per scatenarlo al galoppo contro lo schieramento ostile.

Bastò la mossa: al suo solo apparire, i Mori furono presi dal panico e si dispersero in fuga. E’ storia, non leggenda. Ma quand’anche fosse leggenda, ci sono personaggi che solo nella leggenda trovano compiuta realizzazione. E il nostro – mi si perdoni, per una volta, l’enfasi – è tra questi. Dunque, Dominus Claudius, bando alla politica dei piccoli passi, che di questi tempi non porta da nessuna parte. Con Francesco in campo sempre, a seminare il terrore tra i nemici. Certo è che, con lui al comando, anche Toni può diventare sul serio un altro Batistuta.