La penna degli Altri 25/08/2011 13:36

Non è un calcio per giovani, solo il 4% di under 21 in serie A



Breve raffronto con altri club campioni: 27,4, Manchester United 25,8, Borussia Dortumund 24,3, Lilla 25,8. Gli altri non hanno problemi a giocarsela con ragazzi inesperti, purché bravi, da noi questo coraggio non c’è. Anche perché i giovani di qualità ormai scarseggiano e la fabbrica italiana del talento si è fermata.
Si spera che il mercato imponga un’inversione di tendenza: con Bojan, Lamela, Alvarez, Fabbrini & C le società sembrano aver capito di dover svecchiarsi: 75 milioni sono stati spesi da Roma, Inter, Udinese e gli altri in giocatori giovani. E’ un buon indizio, speriamo faccia tendenza: lo scorso anno degli under 21 convocabili per la nazionale di Ciro Ferrara, tradizionale serbatoio della nazionale maggiore, è stato titolare il solo Santon col Cesena. Tant’è vero che Ferrara i nazionali deve cercarseli anche in B e in C.

Le nostre nazionali giovanili inoltre non vincono più. Gli under 21 nelle rose attuali sono circa il 20%. Il problema è che poi quando si comincia a giocare per i 3 punti i giovani spariscono, restano in panchina, finiscono in tribuna o tornano addirittura alla Primavera: nel 2010-11 le presenze degli under 21 sono state appena del 4% sul totale. Ma gli under 21 che hanno avuto davvero fiducia e fatti giocare con un minimo di costanza appena il 2%.



I campionati giovanili – vitali per il progresso del calcio italiano – sono oggetto di una riforma che deve essere ancora completata. Il campionato Primavera, che dovrebbe essere l’anticamera del grande calcio e che fornisce ormai solo il 5% di giocatori alla serie A, dal 2012-13 vedrà abbassato di 2 anni il limite. La presenza degli stranieri nei 42 club dei 3 gironi Primavera inoltre pesa molto: per il momento sono almeno 130. Al fatto che quello che prima o poi ricomincerà “Non è un calcio per giovani” Repubblica.it ha dedicato un’inchiesta multimediale, con reportage, tabelle, video e interviste: a Gianni Rivera, Arrigo Sacchi, Bruno Conti e molti altri. «Quando abbiamo giocato con la Germania – dice Arrigo Sacchi, coordinatore delle nazionali giovanili chiamato a ricostruire la base del calcio azzurro – i nostri calciatori avevano collezionato appena una decina di presenze in A, i tedeschi ne avevano addirittura 250. In Spagna, Germania, Francia, Inghilterra il lavoro sui giovani è cominciato già da molti anni: hanno accademie e i club curano i giovani sotto tutti i profili anche scolastico e culturale. Un giovane all’inizio lì si allena 20-24 ore la settimana, da noi si arriva a malapena a 6.

Da noi non c’è cultura, abbiamo un concetto del calcio come espressione del singolo e come rivalsa sociale. I giovani non trovano un buon ambiente per esprimersi e gli allenatori puntano in genere su vecchi ed esperti per tirare avanti, perché non c’è pazienza, piacere del bel gioco e il risultato comanda su tutto. Se avessero vivai veri i club non dovrebbero affannosamente ricostruire sul mercato ogni anno la loro squadra». Anche Gianni Rivera, insieme a Demetrio Albertini, si sta occupando del rilancio dei giovani. A partire dalle scuole calcio: «Non si gioca più per strada, se i miei genitori – dice – avessero dovuto pagare una scuola calcio io non avrei mai giocato». Alcuni studi dicono che in Italia i giovani calciatori servono più che altro a fare mercato, ma non realmente per essere impiegati in serie A. E purtroppo c’è anche chi ci specula sopra, come il procuratore che denuncia che i genitori arrivano a pagare decine di migliaia di euro per sperare di lanciare il figlio nel gran circo delle illusioni.